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Andrea Agostinelli·8 dicembre 2019

Mihajlovic al Milan: i motivi di un amore mai sbocciato

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Quando Sinisa Mihajlovic nell’estate 2015 arriva al Milan è un allenatore che è stato in grado di rimettere in carreggiata la sua carriera dopo un inizio altalenante.

Le due stagioni alla Sampdoria, culminate in un settimo posto che vale ai blucerchiati la qualificazione ai preliminari di Europa League, hanno avuto l’effetto di cancellare l’onta dei due esoneri nelle sue prime tre esperienze in Serie A.


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Determinato e carico approda in un club in cui lo scenario della cessione di Silvio Berlusconi non è mai stato così concreto tanto che i giornali dell’epoca riportano che a finanziare il mercato con 150 milioni sia Mr Bee, all’anagrafe Bee Taechaubol, l’uomo d’affari thailandese con cui Berlusconi apparentemente due mesi prima aveva chiuso la cessione del Diavolo.

Avanti veloce sino al 12 aprile 2016 e le ambizioni di Champions League sono sparite, schiacciate da una serie di risultati deludenti che spinge la società rossonera ad esonerare Mihajlovic per affidare la squadra a Brocchi nonostante il serbo abbia portato la squadra in finale di Coppa Italia.

Ma nonostante le sole 38 partite alla guida del Milan, l’avventura di Mihajlovic non può essere considerata un fallimento.

Ancora oggi, ad esempio, Mihajlovic è l’ultimo tecnico del Milan ad aver vinto un derby in campionato, una missione in cui Montella, Gattuso e Giampaolo hanno fallito.

Il serbo è stato anche l’artefice del debutto in Serie A di Gianluigi Donnarumma che poco più che 16enne venne preferito a Diego Lopez, uno che appena due anni prima aveva alzato al cielo la Champions League con il Real Madrid.

Ci vuole coraggio e fiducia nelle proprie idee per prendere una decisione simile, le stesse armi con cui convinse la società a compiere uno sforzo economico importante (25 milioni) per acquistare dalla Roma Alessio Romagnoli, all’epoca difensore reduce dalla sua prima stagione in Serie A e oggi capitano del Milan.

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Un’eredità decisamente positiva ma purtroppo per lui l’amore con Berlusconi non sbocciò mai.

Mihajlovic pagò con l’esonero non solo per i risultati ottenuti ma anche, se non soprattutto, per una visione di calcio che andava contro il diktat presidenziale.

Commise il peccato capitale di pensare che si potesse vincere senza per forza dominare e dare spettacolo, una bestemmia nel tempio di Milanello dove il bel giuoco all’epoca era ancora un dogma imprescindibile.

Eppure, nonostante non ci siano trofei a in bacheca a dimostrarlo, per quanto fatto in campo e fuori in quei 10 mesi, Mihajlovic è probabilmente l’allenatore che insieme a Massimiliano Allegri ha segnato maggiormente in positivo l’ultimo decennio di storia del Milan.